ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Ancora Olimpiadi
A Montreal nel '76
di Andrea Bentivegna
20/08/2016 - 02:01

di Andrea Bentivegna

 Dopo le proteste di Messico ’68 e la tragedia di Monaco ’72 c’era in tutti la netta consapevolezza che i problemi del mondo non potessero più rimanere confinati fuori dal villaggio olimpico.

Quell’idea divenne certezza a pochi giorni dall’inaugurazione dell’edizione successiva, quella di Montreal. Non esattamente serena quella vigilia: sia gli organizzatori che il Comitato Olimpico, che erano infatti impegnati su un duplice e spinoso fronte.

Da una parte i lavori per la costruzione degli impianti che vennero ultimati solo o poche ore dall’accensione del braciere o, come nel caso dell’avveniristico stadio, vennero lasciati addirittura incompiuti. A proposito solo la costruzione di quest’impianto, con contrattempi e modifiche, costò una cifra quasi equivalente all’intero budget stanziato per tutta l’Olimpiade..per la gioia dei canadesi che dovettero pagare fino al 2008 una tassa apposita al fine di ripianare i debiti.

D’altro canto anche il Cio era alle prese con il primo, clamoroso, caso di boicottaggio olimpico. In quell’edizione infatti non si presentò la quasi totalità dei paesi africani che volevano così dare un forte segnale contro la vergogna dell’apartheid che si stava attuando in quegli anni in Sud Africa e che era stata fino ad allora colpevolmente taciuta.

Nonostante ciò la XXI edizione dei Giochi Olimpici dell’era moderna prese regolarmente il via e, come è capitato in ogni edizione, ci consegnò delle storie fantastiche. Una su tutte andò in scena una domenica.

Montreal, per quanto in Quebec, può diventare una città soffocante durante l'estate. Quel 18 luglio era una giornata torrida ma all'interno del glorioso Montreal Forum l'aria condizionata faceva egregiamente il suo dovere. Non fosse stato cosi si sarebbe trattato di un disastro senza precedenti: quel giorno, in quel palazzo dello sport, si stavano svolgendo infatti le gare di ginnastica. Con il piccolo particolare che non si trattava dei campionati regionali ma delle Olimpiadi del 1976.

Il mondo era allora diviso in due blocchi e la Russia non era solo la nazione da battere ma anche il nemico. Le sue atlete erano, o almeno venivano descritte, come perfetti robot, inespressivi e invincibili. Del resto erano quelli anni di innovazioni tecnologiche. Pochi mesi prima due amici californiani avevano costruito in un garage di Cupertino un rudimentale computer che conquisterà il mondo e persino per noi italiani quelle olimpiadi segneranno il passaggio dalla televisione in bianco e nero a quella a colori.

Un monologo scontato -si pensava-quello delle sovietiche che avrebbe lasciato alle altre solo la gloria decubertiana di aver partecipato.

Poi il pubblico sonnolento ebbe un sussulto, prodigandosi per uno spontaneo caloroso applauso di incoraggiamento ad un bambina che era appena salita in pedana.

Pettorale numero 73, tredici anni e un'espressione determinata; Eppure si trattava pur sempre di una ragazzina, sostenerla e supportarla contro le formidabili sovietiche veniva naturale.

Alle 13,25 afferrò una delle due parallele asimmetriche iniziando la sua prova, non saranno ancora scoccate le 13,26 quando, dopo un volteggio rapidissimo, atterrerà sul materassino per concludere la sua gara. A quel punto la storia dello sport era cambiata per sempre.

Fu una prova perfetta. Ma non metaforicamente anche matematicamente.

Uno virgola zero zero.

Questo è il voto che apparve sul tabellone luminoso. A quel punto tutti si guardano tra loro un po indignati ed increduli. Ma presto l’imbarazzo lasciò spazio ad un boato.

Si trattava di un dieci. Il massimo. Per la prima volta alle Olimpiadi un’atleta aveva raggiunto la perfezione e a farlo era stata la più giovane partecipante ai Giochi di sempre.

Quella ragazzina vinse ovviamente l'oro, ma per una volta non fu questo l'aspetto più straordinario. In quei venti secondi di volteggi la piccola Nadia non si approssimò alla perfezione, ne dimostrò l’esistenza.

Dall'edizione successiva dei Giochi Olimpici i tabelloni luminosi avrebbero avuto quattro caselle anziché tre come a Montreal. Da allora la perfezione era contemplata.

 






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